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Impatto ambientale della produzione della pelle

E’ difficile trovare in rete dei siti critici in merito alla lavorazione della pelle. Come vedremo, ci sono interessi molto importanti che fanno sì che certe informazioni vengano messe a tacere o almeno tenute ben nascoste. Abbiamo trovato questo rapporto di Change your shoes del 2016 che analizza in modo molto neutrale i risvolti della produzione della pelle, con i suoi intrecci con l’industria della carne, nonché innumerevoli altri aspetti interessanti.

Ci permettiamo di riportarne alcuni passaggi molto informativi consigliando caldamente coloro che vogliono approfondire il tema di consultare i PDF originali “Una dura storia del cuoio” e “Una mucca nella scarpa”. Del 2017 il report Il vero costo delle nostre scarpe che prende in esame 3 grandi marchi italiani.

Siamo consapevoli che le cifre che riportiamo qui, rispecchiano la realtà di alcuni anni da, ma sappiamo anche che, purtroppo, la tendenza non è cambiata, anzi.

Nonostante non siano dati attuali, e non trovando un’esposizione di uguale professionalità più recente, abbiamo deciso di riferirci ad essi.

Con questo vogliamo portare il nostro contributo affinché cresca la consapevolezza degli enormi danni, della sofferenza animale e delle ingiustizie sociali che vi sono dietro a ogni chilo di pelle e sia chiaro quali sono i grandi interessi che spingono i consumatori ignari in una certa direzione. Sapendo questo, ognuno di noi è poi libero di decidere cosa sostenere con i suoi acquisti.

“Il viaggio delle scarpe in pelle è lungo e accidentato perché presenta molti problemi, sia di carattere ambientale che sociale. La pelle con cui si fanno le scarpe è ottenuta dal manto che ricopre il corpo degli animali: non bestie che vivono in libertà, ma animali allevati sotto dominio umano. Per cui il viaggio di un paio di scarpe può partire da un villaggio del Sahel, da un ranch del Texas o da un pascolo ottenuto da un tratto di foresta nell’Amazzonia.

La produzione di pelle ha un giro d’affari che vale 50 miliardi di dollari all’anno ed è intimamente legata all’industria della carne rossa che a sua volta ha un giro di affari all’esportazione intorno ai 100 miliardi di dollari l’anno, senza considerare il valore di prodotti derivati come il latte o la lana.

Gli industriali della concia affermano di svolgere un ruolo benefico ai fini ambientali, perché ci liberano da un rifiuto prodotto dall’industria della carne quasi fossero degli spazzini. Ma il giro di soldi che ruota attorno alla pelle è così imponente che rimane difficile concepirlo come un settore che si affida alla produzione di avanzi da parte di altri. Basti pensare che rappresenta la base su cui è costruito un impero industriale, fortemente connesso al lusso, costituito da scarpe, borsette, cinture, portafogli, rivestimenti di mobili e auto ecc., per un giro d’affari complessivo stimato in oltre mille miliardi di dollari l’anno. In conclusione, senza la pelle crollerebbe un mondo.

Sfogliando qualsiasi rivista dedicata alla pelle, emerge ovunque il lamento dei proprietari di concerie che denunciano la penuria di materia prima. Per cui è più verosimile immaginare i due settori, l’industria della carne e quella della pelle, come due alleati che lavorano insieme per fare crescere l’industria dell’allevamento e della macellazione. Del resto il più grande produttore del mondo di pelli è JBS, multinazionale di origine brasiliana specializzata in allevamenti e macellazione. Con 185.000 dipendenti e un fatturato annuo di 50 miliardi di dollari abbatte giornalmente 100.000 bovini, 70.000 maiali e 25.000 agnelli da cui ricava al tempo stesso carne e pelli che concia in 26 concerie di sua proprietà, sparse in vari paesi del mondo fra cui Brasile, Argentina, Cina, Germania, Italia, Messico, Sudafrica, Vietnam e Uruguay.

Quasi il 90% della pelle grezza prodotta nel mondo proviene da quattro tipi di mammiferi: bovini, ovini, suini e caprini. Tuttavia la quota maggiore è ricavata dai bovini, che da soli forniscono i due terzi del prodotto mondiale. Perciò la nostra attenzione si limiterà alla filiera produttiva di pelle bovina.

Grafico 1. Produzione di pelli grezze per tipologia (in percentuale alla produzione complessiva mondiale di pelli - 2010)

L’impatto ambientale degli allevamenti

In tempo di crisi ambientale come quello che stiamo vivendo, anche l’allevamento di bestiame è sotto accusa. Per l’acqua che consuma, per il cibo che accaparra, per la terra che occupa, per i rifiuti che produce.

Ci vogliono 15.000 litri (15 metri cubi) di acqua per produrre un chilo di carne di manzo. In pratica serve una piccola piscina piena d’acqua per quattro bistecche.

Impatto ambientale della produzione della pelle

Un dato che sembra impossibile finché non esaminiamo cosa mangia una bestia durante il suo ciclo di vita: 1.300 chili di granaglie e 7.200 chili di foraggio. Ci vuole tanta acqua per fare crescere tutta questa roba. In più ci vanno aggiunti 24 metri cubi d’acqua per dissetare la bestia e 7 metri cubi per tenerla pulita. La conclusione è che per produrre un chilo di carne di manzo ci vogliono 6,5 chili di granaglie, 36 chili di foraggio e 15 metri cubi di acqua.

Su scala globale più del 40% della produzione annuale di cereali è utilizzata per nutrire gli animali da allevamento. Il che fa quasi 800 milioni di tonnellate di granaglie, a cui vanno aggiunti altri 250 milioni di tonnellate di semi oleosi, principalmente soia. In molte regioni sono coltivati come monoculture ed esportati in tutto il mondo da potenti multinazionali come Cargill, ADM, Bunge. In conclusione, quasi un terzo dei 14 miliardi di terra coltivabile disponibile a livello mondiale è utilizzato per ottenere cibo da dare in pasto agli animali. Se si considerassero anche gli ingredienti minori che compongono le miscele per animali, come la paglia, le barbabietole e altre piante, scopriremmo che tre quarti della terra coltivabile mondiale è coinvolta in qualche modo con la produzione di alimenti per il bestiame. Come se non bastasse, anche le foreste sono sacrificate sull’altare dell’allevamento di bestiame. Il Brasile, ad esempio, ospita sul suo suolo 211 milioni di capi bovini, un numero che è inferiore solo a quello dell’India: la terra richiesta per allevare tutto questo bestiame è enorme, perciò i produttori brasiliani stanno cercando di procurarsene a spese della foresta amazzonica.

Uno studio effettuato dall’Istituto nazionale per le ricerche satellitari (INPE), ha appurato che solo il 4,9% delle terre deforestate in Brasile è destinato all’agricoltura.

E mentre il 21% è inutilizzato in attesa di capire che farne, il 62,2% è impiegato come pascolo. In conclusione la più grande foresta pluviale del pianeta sta scomparendo per allevare bestiame. L’associazione francese Envol Vert stima che l’allevamento dei bovini destinati alla produzione di carne e pellame contribuisce al 65% della deforestazione dell’Amazzonia: i pascoli si troverebbero soprattutto in una fascia larga cinquanta chilometri lungo le principali strade che attraversano la foresta.

Le foreste giocano un ruolo importantissimo da molti punti di vista, non ultimo quello contro il cambiamento climatico per la loro capacità di assorbire anidride carbonica.

Ed è proprio il tema del cambiamento climatico ad aggiungere un altro capo di accusa contro gli allevamenti, perché il bestiame contribuisce alla produzione di gas ad effetto serra. In quale misura è ancora oggetto di discussione perché non tutti usano gli stessi criteri.

A seconda di cosa si prende in considerazione la cifra varia fra il 16 e il 32%. La Fao afferma che gli animali contribuiscono alla produzione di gas serra per il 14,5%, ma il calcolo prende in considerazione solo i gas connessi dagli escrementi.

Se invece venissero conteggiati anche quelli connessi alla produzione di granaglie, la quota raddoppierebbe. Vedi anche:

"Meat Atlas" nuova edizione pubblicata nel 2021 a cura di Heinrich Böll Stiftung e Friends of the Earth – Europe;

"Le cuir tanne la foret" pubblicato nel 2013 a cura di Envol Vert.

Dagli allevamenti alla produzione di pelle grezza

Il paese del mondo con la più vasta popolazione animale di tipo bovino è l’India, che però compare solo al quinto posto se concentriamo l’attenzione sulla carne prodotta.

Il paese con la maggior produzione di carne bovina sono gli Stati Uniti, che però vengono solo al terzo posto come paese esportatore, a causa del grande consumo interno. La tabella 1 ci mostra un riepilogo dei maggiori paesi per produzione di carne bovina, per consumo interno e per esportazioni. Sorprende scoprire come l’India – paese a maggioranza hindu, religione per cui la vacca rappresenta un animale sacro – sia il maggior esportatore al mondo di carne bovina.

Tabella 1. Produzione, consumo interno ed esportazioni di carne di manzo e vitello in migliaia di tonnellate (2014)


Fonte: United States Department of Agriculture -Foreign Agricultural Service, Livestock and Poultry: World Markets and Trade, aprile 2015;

Produzione di carne e produzione di pellame vanno a braccetto, tant’è che troviamo una coincidenza quasi perfetta nella graduatoria di produzione di pellame con quella di carne. C’è solo un piccolo sfasamento per quanto riguarda la Cina, per cause non ben identificate.

Tabella 2. I primi cinque produttori di pelli grezze bovine per migliaia di tonnellate (2013)

Fonte: Fao, World statistical compendium for raw hides and skins, leather and leather footwear 1998-2014, 2015

 

Dalla produzione all’esportazione di pelle grezza

Verrebbe spontaneo aspettarsi di trovare una coincidenza fra maggiori produttori e maggiori esportatori di pellame grezzo. Invece troviamo che il secondo più grande produttore, il Brasile, contribuisce alle esportazioni mondiali solo per lo 0,34%. Altri importanti produttori come l’Argentina e l’India forniscono rispettivamente lo 0,15% e lo 0,06% del totale delle pelli grezze scambiate nel mondo."

 

Grafico 3. I maggiori esportatori di pellame grezzo bovino per peso (in % sul totale delle esportazioni mondiali, 2013)

 

Fonte: elaborazione dati Fao, World statistical compendium for raw hides and skins, leather and leather footwear 1998-2014, 2015

l rapporto continua  analizzando il contesto italiano, in particolare il distretto di Santa Croce in Toscana compresi gli aspetti organizzativi, dei lavoratori, dei salari, orari di lavoro, infortuni e malattie professionali. Termina con questa parte riferita ai rifiuti di cui riportiamo solo alcuni aspetti generali. 

I rifiuti

L’industria della concia ha un grande impatto sull’ambiente, non solo per le conseguenze provocate dal bestiame che fornisce pellame, ma anche per il grande consumo di acqua e la grande quantità di rifiuti biologici e chimici che si generano durante la fase industriale.

Da ogni tonnellata di pelle grezza si possono ottenere dai 200 ai 250 kg di pelle conciata al cromo, che complessivamente possono richiedere l’uso di una quantità d’acqua oscillante tra le 15 e le 50 tonnellate, 500 kg di sostanze chimiche e tra i 9,3 e i 42 GJ di energia40. Per cui per ogni tonnellata di pelle lavorata si producono tra 60 e 250 tonnellate di acqua inquinata (contenente tra le altre sostanze circa 20-30 kg di cromo e 50 kg di solfuro), tra 1.800 e 3.650 kg di residui solidi, 2.500 kg di fanghi, tra 4 e 50 kg di solventi emessi nell’aria.

Fonte: 40 European Commission – JRC Reference Reports, Best Available Techniques (BAT) Reference Document for the Tanning of Hides and Skins, Industrial Emissions Directive 2010/75/EU (Integrated Pollution Prevention and Control), a cura di Michael Black, Michele Canova, Stefan Rydin, Bianca Maria Scalet, Serge Roudier e Luis Delgado Sancho, Joint Research Centre, 2013, p. 55.impatto ecologico della pelle

Ci fermiamo qui. Abbiamo voluto portare solo questi grafici e informazioni, per aiutare a riflettere e crearsi un'immagine di quanto siano grandi gli interessi dietro al mercato delle pelle e della carne.  Nel nostro blog abbiamo riportato in breve alcuni aspetti del perchè abbiamo scelto di NON utilizzare la pelle per i nostri prodotti. Volentieri chi lo desidera può approfondire sul rapporto completo.

Scarica i PDF:

         

Meat Atlas